La sinistra contro i suoi leader di Angelo Giubileo

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L’ultimo libro di Mauro Calise, dal titolo “Fuorigioco – La sinistra contro i suoi leader”, narra, con puntualità, logiche ed eventi che nel nostro paese, durante gli ultimi venti anni, hanno visto la sinistra accanirsi contro il fenomeno culturale del leaderismo; quand’anche si trattasse dei propri  leader…

…L’aspetto che trovo più interessante del saggio, di carattere essenzialmente divulgativo, è insito nelle premesse del ragionamento a sostegno della tesi.

L’intera analisi parte infatti dalla considerazione iniziale che “il demone della personalizzazione sta improntando questo secolo nella cultura e nella società prima ancora che nella politica”; per poi annotare che, “con il solito anticipo sull’Europa, gli Stati Uniti” hanno già affrontato e risolte le questioni ed i problemi ad essa legate, fin dai tempi del New Deal di Roosevelt, e con la definitiva acquisizione oggi del mito del self made man; ed infine caratterizzare il tentativo estremo di Bersani – di uccidere il leader o i leader e ricondurli ancora una volta nell’alveo del centralismo democratico del partito -, in qualità di “forte e fiero rappresentante del proprio insediamento subculturale”.

Espressione di una “subcultura”, anzi, secondo il giudizio storico, di un’“ex subcultura”; che, a parte il cennato raffronto con la storia americana, l’autore racchiude nell’immagine del “partito emilianocon una propria spiccata cultura imprenditoriale e pragmatica, fondata sulla efficienza aziendale e sullo spirito di squadra che il tessuto delle cooperative rosse aveva fatto diventare anche una potenza economica e finanziaria”, in concorso con il modello culturale emerso viceversa nel “Nord-Est del paese”.

A seguito di queste premesse, l’autore dunque narra, più che analizzare criticamente nei dettagli, le vicende occorse a sinistra negli ultimi venti anni, attraverso fenomeni politici ed istituzionali di livello sia macro che micro, legati essenzialmente dapprima al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica e quindi in ordine agli sviluppi assunti nell’ambito del nuovo sistema di organizzazione del potere e del consenso.

Con efficace ed apprezzabile sintesi di giudizio, Calise scrive: “in pratica, le preferenze funzionavano più o meno con la medesima certezza delle attuali designazioni di vertice fatte a norma di Porcellum. Ma con la sostanziale differenza di coinvolgere attivamente tutto l’apparato di base, chiamato al compito di sensibilizzare il proprio elettorato a votare per i numeri giusti, molti dei quali erano dirigenti locali che coronavano il loro sogno di mettere finalmente piede in Parlamento.

Il voto di preferenza, in sintesi, si dimostrava estremamente funzionale alla riproduzione dei due grandi partiti di massa, sia pure alimentando un sistema di potere del tutto diverso: per la Dc la raccolta del consenso particolaristico, per il Pci la tenuta unitaria attraverso il centralismo democratico. In entrambi i casi, veniva salvaguardato e promosso uno strettissimo raccordo tra il centro e la periferia imperniato sulla integrazione tra carriere e gestione del microvoto”.

La problematica del raccordo tra il sistema di potere centrale ed i sistemi di potere periferici introduce ad un altro dei temi e dei nodi essenziali affrontati nel saggio, in ordine alle forme di esercizio e di controllo del potere e del consenso in ambiti democratici.

Anche su questo punto, il giudizio dell’autore, che ritengo del tutto condivisibile, è espresso sin da principio in forma piuttosto lapidaria: “nel momento in cui appare sempre più evidente l’esigenza di concentrare e rendere più efficienti le leve istituzionali del governo e del suo capo, è fondamentale per la tenuta del regime democratico che il decisore ultimo appaia, agli occhi dell’elettorato, chiaramente individuabile nelle proprie responsabilità. L’antidoto più efficace contro i timori di una deriva autoritaria risiede nell’estrema vulnerabilità di ogni leader, sottoposto al continuo scrutinio di ogni sua azione e soppesato costantemente dai sondaggi di popolarità”.

Tutte ragioni, ad esempio, per le quali dovrebbe ritenersi fin troppo opportuna un’uscita di scena di Berlusconi in base al voto dell’elettorato e non attraverso una sentenza della magistratura.

Ma, com’è evidente, perché accada anche questo occorre che si faccia almeno un salto culturale in avanti. E, con il paese, è altrettanto evidente che, nei “tempi supplementari” che restano, in primis tocca farlo al Pd!

24.10.2013