“IL PRIMO TERZO SESSO” – Né uomini, né donne, le hijra sono una comunità transgender antica di duemila anni – di Antonio Storto*

Transsexuals and transvestites in Pakistan

*http://www.eastonline.eu/it/east-53/il-primo-terzo-sesso

Lo scorso 11 novembre il governo del Bangladesh ha approvato una modifica al regolamento anagrafico statale che potrebbe rivelarsi uno spartiacque per le minoranze sessuali del paese.

Annunciata dal premier Sheikh Hasina, la norma introduce una terza definizione di genere che potrà essere utilizzata nei documenti ufficiali. Oltre che come “maschio” o “femmina”, i bengalesi possono ora identificarsi come hijra, una parola in lingua urdu che in occidente viene generalmente tradotta in “eunuco”.

L’espressione indica l’appartenenza a una comunità transgender che in Asia meridionale conta circa otto milioni di persone tra transessuali, castrati ed ermafroditi. Con questo termine ci si riferisce essenzialmente a individui che, pur essendo nati in un corpo maschile, sviluppano fin da bambini una marcata identità femminile.

A causa dello stigma che da due secoli la cultura indù pone sul transgenderismo, queste persone vengono spesso espulse, ancora giovani, dalle famiglie d’origine, finendo per condurre un’esistenza marginale tra baraccopoli, accattonaggio e prostituzione.

“In Bangladesh”, ha dichiarato il Segretario di Gabinetto nazionale, Muhammad Bhuiyan, “vivono oggi almeno diecimila hijra, che sono escluse anche da diritti basilari come quello all’abitazione, all’istruzione o alle cure mediche”. In parecchi casi, i problemi sorgono anche da semplici difficoltà amministrative.

“In molti paesi del subcontinente indiano – spiega Abhina Aher, coordinatrice del programma Pehchan dell’India HIV/Aids Alliance – l’assenza di una chiara identificazione per i transgender crea un vuoto burocratico che impedisce loro di attraversare i confini nazionali, di accedere al sistema sanitario o perfino di avere un telefono cellulare”.

Per questo motivo, nel 2009 lo status di “terzo genere” era già stato riconosciuto in India, che con una presenza di cinque milioni di individui è il paese dove la sottocultura degli hijra è più sviluppata. Ad oggi, però, la comunità continua a vivere confinata negli slum, senza alcun supporto dalle istituzioni. Secondo la Aher: “Una recente ricerca ha rivelato che il motivo per cui la maggior parte di loro è restia a denunciare violenze e abusi è che, nel 57% dei casi, questi sono avvenuti proprio per mano della polizia”.

In India, la cultura hijra ha radici molto antiche: se ne trova traccia nelle pagine del Kāma Sūtra e in testi precedenti. L’induismo considerava gli eunuchi delle sacerdotesse di Bahuchara Mata, la dea della fertilità. Rinunciando ai genitali, con una mutilazione rituale iniziatica, sublimavano la propria sessualità, acquisendo così il potere di dare e togliere virilità.

“Per questo motivo – spiega Paolo Favero, antropologo dell’Università di Anversa – ancora oggi è molto difficile che a una hijra venga rifiutata l’elemosina. A occhi inesperti, queste persone possono apparire fastidiose. Non è raro, ad esempio, che irrompano in matrimoni o battesimi, chiedendo denaro, minacciando di mostrare i genitali o di gettare un maleficio sullo sposo. La cosa sorprendente è che spesso sono le stesse famiglie a invitarle. Pagarle per mandarle via è parte integrante della cerimonia”.

Fino al XIX secolo le hijra hanno vissuto in relativa armonia con la popolazione. Fu con la colonizzazione britannica che iniziarono i loro guai: la legge 377, che puniva i rapporti omosessuali, le dichiarò una “tribù criminale”, dando inizio alla loro progressiva marginalizzazione.

Nel 2009, dopo anni di battaglie civili, la 377 è stata abrogata; ma nel dicembre scorso la Corte Suprema ha giudicato illegittimo il verdetto, sancendone la reintroduzione.

Nel sistema indiano delle caste, le hijra si trovano oggi al di sotto dei pariah, gli “intoccabili”. Vivono organizzate in piccoli gruppi, “adottando” i ragazzi espulsi da scuole e famiglie e legandosi con delle parentele fittizie. Non è raro che, per ricreare una parvenza di supporto familiare, si assegnino a vicenda il titolo di “zia, sorella o madre”.

Secondo Abina Aher: “Nella maggior parte dei casi queste persone vengono indotte ad abbandonare la scuola molto presto. Non è un caso che tra le hijra il tasso di analfabetismo arrivi a sfiorare l’80%. È questo che rende quasi impossibile spezzare il ciclo della prostituzione”.

Negli ultimi anni la comunità transgender si è organizzata in un movimento per i diritti civili, che nel 2013 è culminato con la seconda edizione dell’Hijra Habba, raduno nazionale organizzato da Pehchan, al quale hanno preso parte ufficiali dell’Onu e del Programma nazionale per il controllo dell’Aids.

Grazie a un’intensa attività politica, diverse esponenti del movimento oggi ricoprono cariche pubbliche. La prima in assoluto è stata Shabnam Mausi, eletta nel 2000 nel parlamento del Madhya Pradesh. Nel 2013 anche il Pakistan ha consentito la candidatura della 32enne Sanam Fakir, nel distretto elettorale di Sukkur.

“Indubbiamente ci sono stati dei progressi – conclude la Aher – ma non è ancora abbastanza. I governi devono fare di più e lo stesso movimento ha bisogno di una struttura più solida, dotandosi almeno di un direttivo centrale. I problemi da affrontare sono seri e non c’è più tempo da perdere”.maggio/giugno 201

n. 53 Maggio Giugno 2014

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